Quando recito vivo in uno “spazio sacro”: è un mondo protetto in cui il giudizio su me stesso e sugli altri è lasciato fuori. La mia anima si sente libera di creare e di andare oltre i soliti cliché, mentre tutto si trasforma in esplorazione, scoperta, comprensione, carne, passione, sudore, voce, colori, suoni, relazione con l’altro. Mentre faccio esperienza del “mio” ruolo e del mondo che lo circonda, sono consapevole non solo della singola scena ma anche dell’ intera opera da rappresentare. Vivo la finzione fino in fondo e la esprimo con ” gioia, verità e cuore” non attraverso parole vuote da ripetere meccanicamente a memoria. Pensieri, emozioni, intenzioni, convinzioni e valori “del personaggio” sorreggono ogni mia frase. Ho avuto esperienza della “finta recitazione” e ne è passato di tempo da allora… Oggi comprendo profondamente quello che Shakespeare mi chiede: «Dite il discorso, vi prego, come io ve l’ho recitato, quasi vi danzasse sulla lingua; ché se voi lo vociate, come fanno molti dei nostri attori, sarebbe per me tutt’uno che il pubblico banditore dicesse i miei versi. E non fendete troppo l’aria con la vostra mano, così; ma trattate tutto con discrezione … accordate l’azione alla parola, la parola all’azione; con questo particolare accorgimento, che voi non passiate oltre i limiti della moderazione della natura; perché ogni cosa così strafatta è contraria allo scopo dell’arte drammatica».
Riesci ad immaginare il barista del tuo bar preferito che, mentre ti prepara il caffè, fa piegamenti sulle gambe e contemporaneamente movimenti da “break-dancer” con le braccia? Non ti sembra un indovuto “surplus” di energia questo suo agitarsi per un’ azione che richiede, come minimo, la metà dello sforzo messo in atto? In sintesi: per non oltrepassare “il limite della moderazione della natura” e far vivere verità, organicità e naturalezza, Tu come fai?
Davide.